Una panoramica storica dei principali metodi di salvaguardia delle risorse idriche
Maurizio Angeloni - 25 novembre 2024
Introduzione
I cambiamenti climatici a cui abbiamo assistito durante gli ultimi decenni hanno provocato drammatiche crisi idriche dalle conseguenze disastrose soprattutto nei Paesi del sud del mondo e che stanno interessando sempre più anche i Paesi più sviluppati. Mentre, però, i Paesi con economie più floride riescono, seppure a fatica e con imponenti aumenti di spesa pubblica, a fronteggiare queste crisi per preservare in qualche modo l’ambiente, l’agricoltura, l’industria, la produzione di energia e quant’altro collegato strettamente all’acqua, nelle regioni povere del mondo arginare le conseguenze della carenza idrica è impresa titanica. In tali aree, infatti, la mancanza di acqua mette a rischio non solo le già fragili economie, ma la vita stessa di intere popolazioni, dando luogo a drammatiche crisi umanitarie, minacciando la pace e la stabilità di nazioni e intere aree geografiche, aprendo la strada a migrazioni di massa con gravi problemi sociali ed economici per i paesi di destinazione. La rilevanza, economica da un lato e geopolitica/umanitaria dall’altro, di questa problematica pone la comunità internazionale di fronte alla necessità di identificare misure efficaci per prevenire e combattere le carenze idriche dei Paesi più poveri, anche in un’ottica di sostenibilità delle misure adottate. Infatti, se per le nazioni occidentali dotate di risorse economiche, la risposta alla crisi idrica può essere una sofisticata tecnologia, il suo trasferimento alle regioni povere del mondo non è sempre possibile. D’altra parte, queste moderne apparecchiature tecnologiche sono generalmente costose e quindi, a meno di non fornirle sottoforma di donazioni, non sempre le fragili economie di molti Stati sono in grado di sostenere l’onere dei debiti contratti per acquisirle. Oltre a ciò, anche la manutenzione di questi sistemi ad alta tecnologia richiede costi elevati in termini di risorse umane specializzate e componenti, limitandone non solo la sostenibilità ma la stessa applicabilità in alcune realtà. In questi contesti è pertanto necessario guardare ad altre soluzioni per la gestione del patrimonio idrico e i metodi tradizionali possono costituire una delle possibili alternative.
Le tecniche di conservazione idrica storicamente più efficaci
I metodi tradizionali di gestione delle acque nascono di fatto con l’uomo e dalla necessità di garantirsi il fabbisogno costante di acqua essenziale alla propria sopravvivenza. Osservando il mondo vegetale e imitando gli animali, l’uomo, sin dai tempi della sua apparizione sulla terra, ha elaborato metodi sempre più ingegnosi per poter disporre di una riserva d’acqua indispensabile non solo per le sue necessità fisiologiche, ma anche per le sue attività. Non desta quindi meraviglia che già i primi ominidi, magari prendendo esempio da alcune specie animali che scavavano depositi per l’acqua nel terreno, realizzassero dei depositi per l’acqua piovana o per l’acqua atmosferica che si produceva per condensazione nelle caverne. Manufatti che le generazioni di Homo Sapiens che seguirono resero sempre più complessi e confacenti allo sviluppo della vita di relazione e di attività come l’agricoltura e l’edilizia. Sparse nel mondo ci sono ancora oggi le testimonianze delle azioni dell’uomo, a riprova del fatto che già dal paleolitico i “Cacciatori Raccoglitori” raccoglievano acqua potabile nelle caverne sfruttando il fenomeno dello stillicidio e della percolazione naturale.
Cisterne naturali di raccolta di acqua di percolazione (Paleolitico)
Da allora l’uomo ha sperimentato sempre più dei metodi per raccogliere, incanalare, conservare e utilizzare/riutilizzare l’acqua o anche per controllarne il flusso. Si sono così affermate e diffuse tecniche come le terrazze coltivate che aumentavano le capacità del suolo di trattenente l’acqua e ne riducevano l’erosione; le cisterne in cui si accumulava acqua che poi veniva utilizzata per scopi agricoli ma anche per usi domestici; i Qanat, tunnel sotterranei che convogliavano l’acqua dalle zone montane alle pianure, gli acquedotti, opere, queste ultime, che già appartengono alle grandi creazioni delle società idrauliche sviluppatesi in Egitto, India, Mesopotamia, Iran, Cina, nell’ Antica Roma.
Qanat nel deserto del Sahara
Acquedotto Romano
Ma tra i sistemi di gestione delle acque adottati dai nostri antenati c’erano anche pratiche agricole come la rotazione delle colture, che mantenevano la fertilità del suolo con un minor consumo di acqua, ed i sistemi di irrigazione a inondazione e a goccia. Alle grandi civiltà del passato si devono anche gli studi sui metodi di produzione di acqua, come per esempio il concepimento di architetture urbane che sfruttavano i fenomeni di condensazione dell’acqua atmosferica già sperimentati dai primi uomini nelle caverne, come i pozzi aerei e le cisterne sotterranee.
Cisterna Basilica di Istanbul
Oltre a ciò, i nostri antenati avevano imparato a conoscere e ad utilizzare gli ecosistemi naturali, come le oasi del deserto. Queste si formano naturalmente quando l’acqua che scorre nel sottosuolo esce in superficie o in prossimità di essa. Le acque meteoriche che arrivano sul terreno durante le rare precipitazioni vi penetrano fino a raggiungere uno strato impermeabile dove si accumulano a costituire una falda. Esse poi continuano il loro percorso nel sottosuolo anche per centinaia di chilometri seguendo le depressioni del terreno fin quando incontrano uno strato di terreno impermeabile più superficiale che fa sì che si formi una sorgente. Stesso risultato si ha se la falda sotterranea incrocia un altro strato di terreno impermeabile perpendicolare ad essa che impedisce all’acqua di scorrere orizzontalmente e la costringe a salire in superficie. Analogo fenomeno avviene se l’acqua penetrata nel sottosuolo si trova a scorrere tra due strati di terreno impermeabili finché trova uno sbocco verso la superficie, in pratica una sorta di pozzo artesiano naturale. In ognuno di questi casi, una volta fuoriuscita in superficie, l’acqua forma dei bacini intorno ai quali si sviluppa della vegetazione e infine un vero e proprio ecosistema che si mantiene grazie alle palme da datteri, che crescono appunto nelle zone aride e con alte temperature. Queste piante infatti svolgono un ruolo fondamentale garantendo con il loro grande fogliame ombra e microclima e, evitando l’eccessiva evaporazione dell’acqua, permetteno la crescita di altre specie vegetali. Inoltre, i loro frutti sono fonte di nutrimento per uomini e animali; i grandi fusti proteggono da vento del deserto e impediscono l’erosione del suolo e, non ultimo, la decomposizione delle foglie cadute porta alla formazione di humus che funge da fertilizzante per le piante stesse.
Un ecosistema equilibrato, insomma, che l’uomo ha conservato per secoli e che dimostra, insieme agli altri metodi tradizionali, che i nostri antenati conoscevano il ciclo delle acque ma soprattutto erano consapevoli e rispettosi dell’ambiente.
Conoscere questi e altri metodi tradizionali di gestione dell’acqua può aiutarci a sviluppare soluzioni più sostenibili alle crisi idriche, operare dove l’utilizzo di tecnologie avanzate non è ancora alla portata delle economie locali, e ad affrontare situazioni di grave emergenza. Le tecniche tradizionali inoltre possono essere integrate con strumenti moderni per renderle più efficaci e più funzionali alle mutate realtà e condizioni di vita dell’uomo. Oggi si possono realizzare artificialmente le oasi, scavando pozzi artesiani nelle zone desertiche, e creare un ecosistema piantando palme da dattero e altre specie vegetali.
Si possono anche riproporre gli antichi sistemi che sfruttavano i fenomeni di condensazione dell’acqua atmosferica, attraverso la realizzazione di strutture relativamente semplici e poco costose. Come riportato in alcuni precedenti studi di AB AQUA, una di queste è la torre Warka Water, dal nome di una grande e robusta pianta diffusa in Etiopia dove è stato sperimentato, ed è costituita da una architettura di bambù e di tessuto in polietilene che cattura l’umidità dell’aria. Oppure, con strutture più complesse e relativamente più costose come i generatori di acqua atmosferica alimentati da fonti di energia rinnovabile, che utilizzano sostanze refrigeranti per condensare l’umidità dell’ aria e produrre acqua potabile.
Warka Water tower
Non ultimo, e sicuramente tra i più conosciuti metodi tradizionali adottati nel nostro tempo, è l’irrigazione a goccia, ormai diffusa e utilizzata da decenni in tutto il mondo in agricoltura. L’esperienza dei nostri antenati ci dà indicazioni per utilizzare al meglio e arricchire il patrimonio idrico anche attraverso un’architettura urbana sostenibile che consenta il recupero e la raccolta dell’acqua piovana. Sull’esempio delle cisterne utilizzate nel passato, infatti, le amministrazioni locali potrebbero incentivare o addirittura imporre per legge, o meglio entrambe le cose, la costruzione nelle civili abitazioni o negli insediamenti produttivi di serbatoti di accumulo in cui l’acqua possa essere stoccata per un certo lasso di tempo. Dopo essere stata filtrata, l’acqua potrebbe essere immessa di nuovo nell’impianto domestico o nel ciclo industriale per usi differenti.
Molti altri sono i metodi tradizionali di gestione delle acque che non sono inclusi in questa trattazione e che, insieme a quelli descritti, rappresentano un patrimonio di culture e tradizioni e, al tempo stesso, una preziosa eredità di conoscenze. Queste si rivelano ancora attuali e dovremmo farne uso, magari arricchendole con le nostre accresciute competenze, non solo in particolari contesti del mondo caratterizzati da povertà e dal sottosviluppo, ma anche nell’occidente più evoluto, minacciato da sempre più frequenti crisi economiche e da drammatiche emergenze climatiche.