La fragilità dei rapporti di condivisione idrica tra India e Pakistan

Isabella De Baptistis - 25 maggio 2025

La fragilità dei rapporti di condivisione idrica tra India e Pakistan

Isabella De Baptistis - 25 maggio 2025

Le rivalità a carattere idro-strategico che coinvolgono l’India e il Pakistan non sono comprensibili senza che si ripercorra uno dei momenti più salienti della loro storia comune e se non si prenda anche in considerazione il contesto internazionale attuale e le aspirazioni/priorità di entrambe le Nazioni.

Nel 1947 si sancì la suddivisione della colonia dell’India britannica in due stati separati e indipendenti, India e Pakistan. Fino a quel momento, durante la dominazione britannica, le comunità indù, sikh e musulmana avevano convissuto nel subcontinente indiano per centinaia di anni, con tensioni contenute.

La creazione del doppio stato, su basi religiose e confessionali, concedeva ai musulmani indiani (il 30% della popolazione) un proprio stato indipendente, in modo tale da scongiurare l’eventuale oppressione da parte della maggioranza indù. La nascita dei due stati fu caratterizzata da enormi tensioni e terribili violenze, che provocarono la migrazione di massa di 12-15 milioni di persone.

Dalla loro indipendenza, India e Pakistan si sono già fronteggiate in tre guerre (1965, 1971 e 1999), oltre a conflitti di più breve durata e incidenti di confine.

Oggetto di tali scontri è stata ed è tuttora la regione del Kashmir, a maggioranza musulmana (l’unica nel Subcontinente indiano), appartenente al territorio indiano e contesa dai due paesi sin dall’indipendenza del 1947. Il Kashmir, oggi diviso in tre province, di cui due del Pakistan (Gilgit Baltistan e Azad Kashmir) e una dell’India (Jammu e Kashmir), rappresenta una zona ricca e strategica a livello minerario e idrico.

Se l’idrografia della regione ha assicurato all’India una certa sicurezza sugli approvvigionamenti idrici, proprio grazie ai numerosi fiumi che l’attraversano, il Pakistan, al contrario, non gode dello stesso vantaggio idrico.

La regione pakistana dipende completamente dal fiume Indo, unico grande bacino fluviale dell’area in grado di sostenere lo sviluppo della nazione.

Sulla base di questa differenza strategica, per oltre mezzo secolo, il controllo delle risorse fluviali è stata una fonte di rivalità e tensione interstatale tra India e Pakistan.

Il corso fluviale dell’Indo si dirama principalmente tra India (39%) e Pakistan (47%), con piccole sezioni in Tibet e nell'Afghanistan orientale (FAO, 2011a) [1].

Durante la formazione dei due Stati, le linee di confine tra India e Pakistan sono state disegnate seguendo quelle tracciate naturalmente dal cosiddetto "spartiacque dell'Indo" (“Indus watershed”, Gardner, 2019) [2].

La collocazione di queste linee ha avvantaggiato l'India per la gestione delle dighe che regolano il flusso d'acqua verso il Pakistan. Il confine fisico tra i due Stati taglia molti degli affluenti del fiume, creando una struttura idrica fondamentale, posta sotto l’amministrazione indiana, che diventa la fonte di tensioni tra i due paesi.

La straordinaria disponibilità di risorse e infrastrutture idriche del governo indiano, quali dighe e impianti idroelettrici, rappresentano non solo una preziosa fonte di energia per l’economia del paese, ma anche una minaccia costante per i fragili equilibri geopolitici regionali.

I timori di future carenze idriche, sorti dalle gestioni statali delle risorse a disposizione e dalle narrazioni politiche divisive, generano ricorrenti crisi diplomatiche tra i due Stati.

Da una parte, in India, le azioni violente della cellula terroristica islamica (Jaish-e-Mohammad), considerata affiliata al Pakistan, vengono spesso strumentalizzate per giustificare un raffreddamento dei rapporti bilaterali e persino per minacciare di ridurre l'approvvigionamento idrico del Pakistan (Al Jazeera, 2019; Roy, 2019) [3]. Dall’altra parte, i media nazionalisti pachistani accusano l’India di favorire l’insorgenza di inondazioni nel Paese, causate da una gestione inadeguata delle risorse idriche, basata fondamentalmente su un principio di autoreferenzialità.

Il Trattato sulle acque dell’Indo: garante giuridico della pace

Le questioni idriche nel bacino dell'Indo sono regolate principalmente dal Trattato sulle acque dell'Indo (The Indus Waters Treaty, IWT, 1960). Con la mediazione determinante della Banca Mondiale nei negoziati, nati a seguito di un episodio del 1948, quando l’India interruppe la fornitura d’acqua a molti villaggi in Pakistan, il Trattato ha definito i principi di condivisione interstatale dell'acqua dell'Indo per evitare conflitti idrici tra India e Pakistan.

Tale Organizzazione internazionale ha, inoltre, sostenuto economicamente sia il Pakistan che l'India per la costruzione di strutture di stoccaggio e di trasporto dell’acqua per consentire l’utilizzo di forniture che, altrimenti, sarebbero andate perdute con l’entrata in vigore dell'accordo.

Il Trattato sancisce in 12 articoli che il controllo sui tre affluenti orientali del fiume Indo (Ravi, Sutlej e Beas), che poi sfociano in Pakistan, è affidato all'India, mentre i tre affluenti occidentali - Indo, Jhelum e Chenab – sono sotto la gestione del Pakistan.

Il funzionamento del Trattato si basa sul meccanismo per la cooperazione e sullo scambio di informazioni tra India e Pakistan riguardo all’utilizzo delle loro fonti fluviali, stabilendo un incontro due volte l’anno dei commissari per l’acqua dei due Paesi che organizzano visite tecniche ai siti dei lavori sulle sorgenti dei fiumi.

Sebbene il quadro normativo che regola la distribuzione dell'acqua tra i due Stati sia stato generalmente accettato da entrambe le parti, il Trattato è stato oggetto di crescenti contestazioni, per via dei numerosi progetti idroelettrici indiani, della costruzione di dighe e della conseguente alterazione del flusso di acqua verso il Pakistan.

Questo Paese mette in dubbio sia l’assegnazione del controllo sugli affluenti dell’Indo sia le concessioni che hanno permesso all'India di costruire legalmente infrastrutture che metterebbero a rischio la sicurezza idrica pakistana.

Nel contempo, il Pakistan si è rivolto anche all'alleato cinese, che sostiene la sovranità indipendente e l'integrità territoriale pachistane, alla ricerca di una maggiore influenza economica nella regione attraverso la realizzazione di progetti economici (Corridoio economico Cina-Pakistan, CPEC).

L’acqua come strumento generatore di tensione

Il bacino condiviso dell'Indo è la seconda falda acquifera più utilizzata al mondo: le eccessive estrazioni mettono a rischio, nel lungo periodo, la disponibilità d’acqua per l’intero bacino.

Nella regione bagnata dall’Indo, può sembrare paradossale che il Pakistan si attesti come uno dei Paesi più stressati dal punto di vista idrico al mondo.

Nonostante il Pakistan disponga di acqua a sufficienza che potrebbe soddisfare i bisogni della sua popolazione, milioni di pachistani continuano a non beneficiare dell’accesso all’acqua (Figura 3), secondo quanto indicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): una persona dovrebbe poter disporre di una quantità d’acqua compresa tra i 50 e i 100 litri al giorno, per una vita dignitosa [4].

Considerando la popolazione del Pakistan, il paese necessiterebbe ogni anno tra i 3,5 e i 7 milioni di piedi acri (MAF) di acqua per soddisfare la sua domanda interna collettiva [5].

Nonostante le variazioni delle stime, la disponibilità idrica annuale collettiva del Pakistan ammonta a circa 193 MAF [6].

A differenza dell'India, inoltre, il Pakistan dipende quasi esclusivamente dall'Indo: circa il 90% del cibo e il 65% dell'occupazione del Pakistan provengono dall'agricoltura e dall'allevamento.

In aggiunta a ciò, le aree meridionali del paese sono particolarmente vulnerabili rispetto all’approvvigionamento idrico derivante dal bacino, esponendo le comunità locali al rischio di tensioni sociali. Accanto ad una cattiva gestione delle risorse idriche, le conseguenze dei cambiamenti climatici concorrono alla comparsa di situazioni di ‘stress’ idrico.

Si prevede che i ghiacciai dell'Himalaya, che alimentano il bacino dell'Indo, diminuiranno ulteriormente nei prossimi anni, stimando che la portata dell’Indo diminuirà dell’8% entro il 2050. Questa riduzione causerà un aumento temporaneo del flusso d'acqua, ma impoverirà, nel lungo periodo, la ricarica delle falde acquifere, riducendo così le risorse idriche disponibili [7]. Allo stesso tempo, si presume che il ritmo e l’intensità delle piogge durante i monsoni diventeranno sempre più irregolari, incrementando i rischi di alluvione.

Un tale scenario farebbe presupporre un inasprimento delle tensioni politiche fra le due super potenze rispetto alla distribuzione dell'acqua e alla gestione dei flussi.

Negli anni l’acqua è già stata strumento di tensione tra i due Paesi. Effettivamente, il Pakistan, in risposta ai vari progetti di costruzione di dighe indiane, che avrebbero modificato il flusso d’acqua verso il Paese, ha più volte rivolto diversi appelli alle istituzioni internazionali sulle presunte violazioni indiane del Trattato.

La prima occasione, fu quando il Pakistan avanzò alla Banca Mondiale la richiesta di nominare un esperto neutrale, dopo aver espresso preoccupazioni per la realizzazione della diga indiana di Baglihar sul fiume Jhelum. Secondo il Pakistan, questi progetti idroelettrici avrebbero fornito agli ingegneri indiani un maggiore controllo sul flusso del fiume rispetto a quanto consentito dal Trattato. L'esperto neutrale, però, ha approvato i piani di costruzione dell'India nel 2007 [8].

In un secondo momento, il Pakistan è tornato a rivolgersi alla Banca Mondiale invocando la convocazione di una corte arbitrale per pronunciarsi sulla realizzazione della diga indiana di Kishanganga su un affluente del fiume Jhelum. La sentenza della Corte Permanente di Arbitrato dell’Aja del 2013 ha accordato all’India il diritto di terminare il progetto, pur senza schierarsi apertamente a favore di uno dei due Paesi. [9].

Il clima di tensione tra India e Pakistan è esploso nuovamente nel 2016, in seguito a un attacco terroristico avvenuto nella città di Uri, nella regione del Kashmir, a causa del quale l’India ha annullato la propria partecipazione alla riunione della Commissione permanente dell’Indo (PIC) [10] e nel contempo, ha convocato un incontro per modificare o annullare il Trattato sulle acque dell’Indo.

Allo stesso modo, l’India ha accelerato lo sviluppo di tre progetti idrici che includono la costruzione della diga Shahpur-Kandi e dell’UJH in Jammu e Kashmir e un secondo collegamento Sutlej-Beas nel Punjab [11].


Nel 2016, il Pakistan ha consultato la Banca Mondiale per la nomina di un altro tribunale arbitrale affinché si pronunciasse sulla costruzione della diga indiana di Ratle sul fiume Chenab, mentre l'India, invece, spingeva per la designazione di un esperto neutrale; nonostante le divergenze, la Banca Mondiale ha deciso, con grande disappunto dei funzionari indiani, di avviare contemporaneamente entrambi i processi nel 2017, nominando gli esperti chiave nell’ottobre 2022. I dirigenti indiani hanno minacciato di ignorare qualsiasi parere del tribunale arbitrale.

La vulnerabilità del rapporto tra India e Pakistan in tema idrico è ulteriormente emersa nel 2019, a seguito di un attacco terroristico, rivendicato dalla milizia pakistana Jaish-e Mohammad, a Pulwama (territorio del Kashmir amministrato dall'India), in cui hanno perso la vita 46 membri della polizia paramilitare indiana. La risposta politica indiana è giunta attraverso le parole dell’allora Ministro delle risorse idriche, Nitin Gadkari, il quale ha minacciato di interrompere il flusso d’acqua verso il Pakistan, denunciando il Trattato sulle acque dell'Indo [12].

La formulazione del Trattato non prevede, però, che uno dei due paesi receda unilateralmente dal patto.

L'articolo XII del Trattato dispone infatti che: "Le disposizioni del presente Trattato, come modificate ai sensi delle disposizioni del paragrafo (3), continueranno ad essere in vigore fino alla loro cessazione per effetto di un trattato debitamente ratificato e concluso a tal fine tra i due governi”.

Il 25 gennaio 2023, l'India ha avanzato, per la prima volta nella storia del patto, la richiesta di modificare il Trattato attraverso la suddetta Commissione Permanente dell’Indo. L’India avrebbe espressamente chiesto al Pakistan di rinegoziare i termini della risoluzione delle controversie. Tale istanza potrebbe essere strumentalizzata dall’India quale merce di scambio nel tentativo di perpetrare la pressione sul Pakistan su altre questioni politiche.

La nuova crisi della cooperazione idrica bilaterale

Il recente riaccendersi delle tensioni tra i due Paesi ha spinto l’India a sospendere il Trattato sull’Indo, come ritorsione all’attacco terroristico, avvenuto il 25 aprile 2025, a Pahalgam nel distretto di Anantnag del Kashmir, amministrato dall'India, che ha ucciso 26 persone. Come accadde nel 2016, le misure di ritorsione indiane sono state drastiche e immediate.

La sospensione del Trattato sull’Indo ha rappresentato un’ulteriore volontà d’interruzione di cooperazione bilaterale, a danno della gestione condivisa delle risorse idriche, con il chiaro intento indiano di generare contraccolpi nella disponibilità idrica pakistana.

La sospensione dell’Accordo prevede che l’India sia capace di trattenere miliardi di metri cubi d’acqua, provenienti dai fiumi occidentali durante le fasi di alto flusso, che, secondo il Trattato, dovrebbero essere rilasciati verso il Pakistan. Ad oggi, le infrastrutture indiane non possono accumulare queste grandi quantità d’acqua a fronte dell’assenza di massicce strutture di stoccaggio e di canali necessari per deviare tali volumi.

L’India, infatti, è dotata di centrali idroelettriche ad acqua fluente, impianti che producono energia elettrica sfruttando il flusso naturale del fiume, senza la necessità di grandi dighe o bacini di accumulo in cui trattenere considerevoli volumi d'acqua.

Il vero rischio dell’interruzione del Trattato è restituire arbitrarietà ai due Paesi nella modifica di infrastrutture esistenti o nella costruzione di nuovi impianti che trattengano o modifichino i flussi d’acqua, pregiudicando il reciproco accesso e la disponibilità d’acqua.

Una distribuzione asimmetrica delle risorse può potenzialmente e conseguentemente causare danni collaterali all’ambiente, situazioni di stress idrico o inondazioni rapide a valle.

Inoltre, con la sospensione del Trattato si estingue anche l’obbligo del mutuo scambio d’informazioni riguardo l’utilizzo dell’acqua e dei progetti infrastrutturali, diminuendo così la trasparenza dell’operato di ciascun Paese, generando sfiducia reciproca e un’alta probabilità di scoppio del conflitto.

Il Pakistan è un Paese fortemente dipendente dall’acqua e lo scenario di una diminuzione drastica dell’accesso alle acque dell’Indo, vitali per la sua sopravvivenza e sviluppo, potrebbe potenzialmente fomentare disordini sociali. Lo stesso Pakistan ha dichiarato che qualsiasi tentativo di interrompere o deviare il flusso d’acqua, appartenente allo Stato, sarà considerato come un atto di guerra da parte dell’India.

L’escalation bellica si è poi verificata il 6 maggio scorso con attacchi missilistici incrociati tra i due Paesi.

Dopo qualche giorno, il 10 maggio, tramite la mediazione diretta degli Stati Uniti, India e Pakistan hanno annunciato un cessate il fuoco con l’immediata sospensione degli attacchi militari, i più importanti scontri militari tra i due Paesi dotati di armi nucleari.

Questo ultimo episodio è la dimostrazione della crescente strumentalizzazione dell’acqua quale risorsa al servizio della geopolitica dominata dalla legge del più forte.

La militarizzazione e securitizzazione dell’acqua evidenzia la necessità impellente di sviluppare una cultura e una prassi politico-diplomatica fondate sulla cooperazione win-win nell’ambito della gestione delle risorse idriche transfrontaliere, soprattutto nello scenario geopolitico attuale di un mondo lacerato da trentuno conflitti in corso.

Su tale aspetto, AB AQUA continua a sensibilizzare l’opinione pubblica nazionale e internazionale sul ruolo dell’acqua come strumento di cooperazione, sviluppo sostenibile e pace. In quanto simbolo di unità, diplomazia e impegno collettivo, l’acqua rappresenta per noi un punto di partenza fondamentale per generare un cambiamento positivo e duraturo.

L’ombra cinese nell’idrostrategia indo-pakistana

In questa fase di incertezza nella gestione idrica indopakistana, è importante tenere in considerazione gli intrecci geopolitici tra Pakistan e Cina che potrebbero svolgere un ruolo importante nelle prossime decisioni in merito al Trattato sulle acque dell’Indo.

La scelta unilaterale dell'India di sospendere l’Accordo potrebbe costringere il Pakistan ad accelerare gli sforzi per costruire dighe nell’area amministrata del Kashmir, grazie alla cooperazione cinese.

Il Pakistan e la Cina stanno già collaborando su grandi progetti infrastrutturali, tra cui le dighe di Diamer-Bhasha, Dasu e Mohmand, pertanto, le recenti azioni dell'India potrebbero fungere da acceleratore per terminare la realizzazione di questi impianti idrici. La Cina, attraverso il suo piano di Corridoio economico Cina-Pakistan, a partire dal 2015, ha investito miliardi di dollari in progetti infrastrutturali, anche nel settore dell'energia idroelettrica del Pakistan.

Nel 2024, la China Energy Engineering Corporation (CEEC) ha annunciato un ampio programma di investimenti in Pakistan, incentrato sull'energia idraulica e rinnovabile e su progetti di linee di trasmissione. La Cina si è impegnata nel piano di costruzione delle centrali idroelettriche di Azad Patan da 1,5 miliardi di dollari e quella di Sikhi Canari da 1,9 miliardi di dollari.

Proprio lo scorso aprile, la Cina ha espresso un grande interesse per partecipare agli investimenti necessari alla realizzazione di un impianto di desalinizzazione nel porto pakistano di Qasim, al fine di convertire l’acqua salata dell’Oceano in acqua potabile da destinare al settore industriale e domestico.

L’obiettivo dell’iniziativa è diversificare le fonti idriche pakistane per ridurre il più possibile gli effetti di scenari di grande stress idrico.

A lungo termine, l'India, pertanto, dovrà tenere in considerazione, nel suo approccio idrostrategico verso il Pakistan, l'emergente asse sino-pakistano nel settore idrico, che rischia di alterare gli equilibri regionali e di ridurre i margini di pressione strategica di Nuova Delhi sul vicino Pakistan. Nel migliore dei casi, l'India potrebbe cercare di utilizzare questa nuova dinamica per rinegoziare il trattato con il Pakistan, ma qualsiasi iniziativa unilaterale rischierebbe di rafforzare la cooperazione tra Islamabad e Pechino, compromettendo ulteriormente lo spirito di cooperazione che il Trattato delle acque dell’Indo aveva storicamente rappresentato.

Conclusioni

L’analisi della gestione idrica tra India e Pakistan mette in luce l’esigenza di una modernizzazione e di un adeguamento del Trattato sulle Acque dell’Indo alle circostanze climatiche e alle politiche ambientali. L’accordo del 1960, infatti, non considerava gli effetti del cambiamento climatico sulla disponibilità idrica complessiva e sulla sua distribuzione nella regione. Al contrario, sarebbe auspicabile, nel contesto attuale, che l’accordo preveda provvedimenti preventivi ai disastri naturali, sempre più frequenti e intensi in questo territorio.

Il Trattato, inoltre, non sancisce un limite sulla quantità di dighe che l'India potrebbe costruire sul bacino dell'Indo, manca di indicazioni, per giunta, sull’ammontare della ripartizione d'acqua tra i due Stati, concedendo così un espediente per un potenziale sovrasfruttamento indiano.

L’estesa diffusione di dighe e impianti idroelettrici indiani rappresenta, infatti, non solamente una vantaggiosa fonte di energia, ma anche una minaccia permanente per i fragili equilibri geopolitici regionali.

Questi suggerimenti d’intervento per una migliore efficacia del Trattato rimangono per ora in sospeso.

La vera minaccia, infatti, risiede nell'incertezza del futuro e nei pericoli che i dibattiti sulla sospensione dei flussi d'acqua potrebbero causare nei prossimi mesi e anni.

Le carenze normative del Trattato rilanciano, quindi, la necessità di discutere e approvare leggi internazionali sulla governance di fiumi e laghi transfrontalieri, anche alla luce delle tensioni politico-sociali tra i due Stati che indeboliscono l’efficacia e l’operato dell’accordo stesso mettendo a rischio anche le relazioni di cooperazione.

Come ripercorso in questo report, le antiche rivalità tra i due Paesi, dovute soprattutto all’appartenenza del territorio del Kashmir, sono mutate nel tempo in una contesa per le risorse idriche.

In Pakistan la questione idrica suscita una forte e costante partecipazione che alimenta la propaganda anti-indiana. In India, invece, la presenza di importanti infrastrutture idriche assume diverse valenze strategiche: garantisce acqua corrente alle famiglie indiane, assicura l’irrigazione dei campi coltivati, fornisce energia e contribuisce all’ammodernamento e allo sviluppo tecnologico della nazione.

Jawaharlal Nehru, leader dell’indipendenza indiana, presentò, tre anni dopo la firma del Trattato (1963), la diga di Bhakhra sul fiume Satluj, il primo grande impianto idroelettrico indiano, come “un tempio dell’India moderna” [13].

Oggi più che mai, l’India ha compreso la necessità e il “ritorno strategico” della gestione politico-economica dell’acqua. Tale consapevolezza risponde a varie esigenze strategiche indiane: garantisce uno sviluppo interno e affronta la difficoltà nazionale di assicurare un accesso equo e sufficiente delle risorse idriche alla sua ampia popolazione, ma, allo stesso tempo, fortifica l’immagine indiana a livello internazionale quale nazione matura e all’avanguardia, in un momento storico in cui l’India cerca un proprio ruolo geopolitico sempre più determinante nelle dinamiche di respiro internazionale.

In occasione della Conferenza sull’acqua delle Nazioni Unite del 2023, il Ministro Gajendra Singh Shekhawat ha annunciato che l’India prevede di investire più di 240 miliardi di dollari [14] nel settore idrico. L’India sta anche lavorando, in collaborazione con privati, start-up e associazioni di utenti dell’acqua, all’attuazione del più grande programma di riabilitazione di dighe al mondo, per costruire infrastrutture di stoccaggio dell’acqua, fondamentali per la resilienza climatica.

La prospettiva di crescita dell’India nel settore idrico, unita a un contesto di crisi del multilateralismo e di assenza di una legislazione internazionale per la gestione transfrontaliera delle risorse idriche, spinge al rafforzamento degli strumenti di cooperazione bilaterale per raggiungere un nuovo modello di gestione del bacino, che può essere riassunto nel concetto di “Industan” [15].

Tale neologismo incita a considerare e a governare il bacino dell’Indo come una risorsa unica, integrata e condivisa, per scongiurare fratture idro-diplomatiche che potrebbero condurre a un più ampio deterioramento delle relazioni bilaterali, mettendo a rischio il faticoso cessate il fuoco conquistato in Kashmir.

    

[1] Food and Agriculture Organization of the United Nations, “AQUASTAT, FAO’s Global Information System on Water and Agriculture”, 2011: https://www.fao.org/aquastat/en/countries-and-basins/transboundary-river-basins/indus

[2] Climate Diplomacy, “Water conflict and cooperation between India and Pakistan”: https://climate-diplomacy.org/case-studies/water-conflict-and-cooperation-between-india-and-pakistan

[3] Aljazeera, “India reiterates plan to stop sharing water with Pakistan”, 2019: https://www.aljazeera.com/news/2019/2/21/india-reiterates-plan-to-stop-sharing-water-with-pakistan

[4] United Nations, Resolution A/RES/64/292, “The Human Right to Water and Sanitation”, 2010: https://www.un.org/waterforlifedecade/pdf/human_right_to_water_and_sanitation_media_brief.pdf.

[5] Uzair Sattar, “Pakistan’s Political Economy perpetuates its Water Crisis”, STIMSON, 2023: https://www.stimson.org/2023/pakistans-political-economy-perpetuates-its-water-crisis/

[6] U.S. Institute of Peace, “Understanding Pakistan’s Water-Security Nexus”, 2013: https://www.usip.org/sites/default/files/PW88_Understanding-Pakistan’s-Water-Security-Nexus.

[7] Dhanasree Jayaram, “Why India and Pakistan need to review the Indus Waters Treaty”, Climate Diplomacy, 2016: https://climate-diplomacy.org/magazine/cooperation/why-india-and-pakistan-need-review-indus-waters-treaty

[8] Daniel Haines, “India and Pakistan are playing a dangerous game in the Indus Basin”, United States Institute of Peace, 2023: https://www.usip.org/publications/2023/02/india-and-pakistan-are-playing-dangerous-game-indus-basin

[9] idem

[10] Commissione bilaterale composta da funzionari dell'India e del Pakistan, istituita dal Trattato.

[11] Debayan Roy, “Can India unilaterally revoke Indus Water Treaty with Pakistan”, News18, 2022: https://www.news18.com/news/india/can-india-revoke-indus-water-treaty-unilaterally-news18-explainer-2045325.html

[12] Aljazeera, “India reiterates plan to stop sharing water with Pakistan”, 2019: https://www.aljazeera.com/news/2019/2/21/india-reiterates-plan-to-stop-sharing-water-with-pakistan

[13] Adriano Marzi, “L’acqua contesa tra Pakistan e India”, Nuova ecologia, 2019: https://www.lanuovaecologia.it/acqua-contesa-tra-pakistan-e-india/

[14] Smart Water Magazine, “India to invest over $240 billion in water sector”, 2023: https://smartwatermagazine.com/news/smart-water-magazine/india-invest-over-240-billion-water-sector

[15] Institute for Water, Environment and Health, dell’Università delle Nazioni Unite (UNU-INWEH) ha pubblicato, su Springer, il report “Imagining Industan”.

Figura 1 – La fonte dell'immagine di copertina è la seguente: https://climate-diplomacy.org/case-studies/water-conflict-and-cooperation-between-india-and-pakistan

Figura 10 - Diga idroelettrica di Ratle

Figura 5 - Diga idroelettrica di Bagliha

Figura 7 - Ubicazione del progetto Ujh

Figura 8 - Diga di Shahpur-Kandi

Figura 6 - Costruzione della diga di Kishanganga

Figura 9 - Progetto di collegamento Sutlej-Beas

Le rivalità a carattere idro-strategico che coinvolgono l’India e il Pakistan non sono comprensibili senza che si ripercorra uno dei momenti più salienti della loro storia comune e se non si prenda anche in considerazione il contesto internazionale attuale e le aspirazioni/priorità di entrambe le Nazioni.

Nel 1947 si sancì la suddivisione della colonia dell’India britannica in due stati separati e indipendenti, India e Pakistan. Fino a quel momento, durante la dominazione britannica, le comunità indù, sikh e musulmana avevano convissuto nel subcontinente indiano per centinaia di anni, con tensioni contenute.

La creazione del doppio stato, su basi religiose e confessionali, concedeva ai musulmani indiani (il 30% della popolazione) un proprio stato indipendente, in modo tale da scongiurare l’eventuale oppressione da parte della maggioranza indù. La nascita dei due stati fu caratterizzata da enormi tensioni e terribili violenze, che provocarono la migrazione di massa di 12-15 milioni di persone.

Dalla loro indipendenza, India e Pakistan si sono già fronteggiate in tre guerre (1965, 1971 e 1999), oltre a conflitti di più breve durata e incidenti di confine.

Oggetto di tali scontri è stata ed è tuttora la regione del Kashmir, a maggioranza musulmana (l’unica nel Subcontinente indiano), appartenente al territorio indiano e contesa dai due paesi sin dall’indipendenza del 1947. Il Kashmir, oggi diviso in tre province, di cui due del Pakistan (Gilgit Baltistan e Azad Kashmir) e una dell’India (Jammu e Kashmir), rappresenta una zona ricca e strategica a livello minerario e idrico.

Se l’idrografia della regione ha assicurato all’India una certa sicurezza sugli approvvigionamenti idrici, proprio grazie ai numerosi fiumi che l’attraversano, il Pakistan, al contrario, non gode dello stesso vantaggio idrico.

La regione pakistana dipende completamente dal fiume Indo, unico grande bacino fluviale dell’area in grado di sostenere lo sviluppo della nazione.

Sulla base di questa differenza strategica, per oltre mezzo secolo, il controllo delle risorse fluviali è stata una fonte di rivalità e tensione interstatale tra India e Pakistan.

Il corso fluviale dell’Indo si dirama principalmente tra India (39%) e Pakistan (47%), con piccole sezioni in Tibet e nell'Afghanistan orientale (FAO, 2011a) [1].

Durante la formazione dei due Stati, le linee di confine tra India e Pakistan sono state disegnate seguendo quelle tracciate naturalmente dal cosiddetto "spartiacque dell'Indo" (“Indus watershed”, Gardner, 2019) [2].

La collocazione di queste linee ha avvantaggiato l'India per la gestione delle dighe che regolano il flusso d'acqua verso il Pakistan. Il confine fisico tra i due Stati taglia molti degli affluenti del fiume, creando una struttura idrica fondamentale, posta sotto l’amministrazione indiana, che diventa la fonte di tensioni tra i due paesi.

La straordinaria disponibilità di risorse e infrastrutture idriche del governo indiano, quali dighe e impianti idroelettrici, rappresentano non solo una preziosa fonte di energia per l’economia del paese, ma anche una minaccia costante per i fragili equilibri geopolitici regionali.

I timori di future carenze idriche, sorti dalle gestioni statali delle risorse a disposizione e dalle narrazioni politiche divisive, generano ricorrenti crisi diplomatiche tra i due Stati.

Da una parte, in India, le azioni violente della cellula terroristica islamica (Jaish-e-Mohammad), considerata affiliata al Pakistan, vengono spesso strumentalizzate per giustificare un raffreddamento dei rapporti bilaterali e persino per minacciare di ridurre l'approvvigionamento idrico del Pakistan (Al Jazeera, 2019; Roy, 2019) [3]. Dall’altra parte, i media nazionalisti pachistani accusano l’India di favorire l’insorgenza di inondazioni nel Paese, causate da una gestione inadeguata delle risorse idriche, basata fondamentalmente su un principio di autoreferenzialità.

Il Trattato sulle acque dell’Indo: garante giuridico della pace

Le questioni idriche nel bacino dell'Indo sono regolate principalmente dal Trattato sulle acque dell'Indo (The Indus Waters Treaty, IWT, 1960). Con la mediazione determinante della Banca Mondiale nei negoziati, nati a seguito di un episodio del 1948, quando l’India interruppe la fornitura d’acqua a molti villaggi in Pakistan, il Trattato ha definito i principi di condivisione interstatale dell'acqua dell'Indo per evitare conflitti idrici tra India e Pakistan.

Tale Organizzazione internazionale ha, inoltre, sostenuto economicamente sia il Pakistan che l'India per la costruzione di strutture di stoccaggio e di trasporto dell’acqua per consentire l’utilizzo di forniture che, altrimenti, sarebbero andate perdute con l’entrata in vigore dell'accordo.

Il Trattato sancisce in 12 articoli che il controllo sui tre affluenti orientali del fiume Indo (Ravi, Sutlej e Beas), che poi sfociano in Pakistan, è affidato all'India, mentre i tre affluenti occidentali - Indo, Jhelum e Chenab – sono sotto la gestione del Pakistan.

Il funzionamento del Trattato si basa sul meccanismo per la cooperazione e sullo scambio di informazioni tra India e Pakistan riguardo all’utilizzo delle loro fonti fluviali, stabilendo un incontro due volte l’anno dei commissari per l’acqua dei due Paesi che organizzano visite tecniche ai siti dei lavori sulle sorgenti dei fiumi.

Sebbene il quadro normativo che regola la distribuzione dell'acqua tra i due Stati sia stato generalmente accettato da entrambe le parti, il Trattato è stato oggetto di crescenti contestazioni, per via dei numerosi progetti idroelettrici indiani, della costruzione di dighe e della conseguente alterazione del flusso di acqua verso il Pakistan.

Questo Paese mette in dubbio sia l’assegnazione del controllo sugli affluenti dell’Indo sia le concessioni che hanno permesso all'India di costruire legalmente infrastrutture che metterebbero a rischio la sicurezza idrica pakistana.

Nel contempo, il Pakistan si è rivolto anche all'alleato cinese, che sostiene la sovranità indipendente e l'integrità territoriale pachistane, alla ricerca di una maggiore influenza economica nella regione attraverso la realizzazione di progetti economici (Corridoio economico Cina-Pakistan, CPEC).

L’acqua come strumento generatore di tensione

Il bacino condiviso dell'Indo è la seconda falda acquifera più utilizzata al mondo: le eccessive estrazioni mettono a rischio, nel lungo periodo, la disponibilità d’acqua per l’intero bacino.

Nella regione bagnata dall’Indo, può sembrare paradossale che il Pakistan si attesti come uno dei Paesi più stressati dal punto di vista idrico al mondo.

Nonostante il Pakistan disponga di acqua a sufficienza che potrebbe soddisfare i bisogni della sua popolazione, milioni di pachistani continuano a non beneficiare dell’accesso all’acqua (Figura 3), secondo quanto indicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): una persona dovrebbe poter disporre di una quantità d’acqua compresa tra i 50 e i 100 litri al giorno, per una vita dignitosa [4].

Considerando la popolazione del Pakistan, il paese necessiterebbe ogni anno tra i 3,5 e i 7 milioni di piedi acri (MAF) di acqua per soddisfare la sua domanda interna collettiva [5].

Nonostante le variazioni delle stime, la disponibilità idrica annuale collettiva del Pakistan ammonta a circa 193 MAF [6].

A differenza dell'India, inoltre, il Pakistan dipende quasi esclusivamente dall'Indo: circa il 90% del cibo e il 65% dell'occupazione del Pakistan provengono dall'agricoltura e dall'allevamento.

In aggiunta a ciò, le aree meridionali del paese sono particolarmente vulnerabili rispetto all’approvvigionamento idrico derivante dal bacino, esponendo le comunità locali al rischio di tensioni sociali. Accanto ad una cattiva gestione delle risorse idriche, le conseguenze dei cambiamenti climatici concorrono alla comparsa di situazioni di ‘stress’ idrico.

Si prevede che i ghiacciai dell'Himalaya, che alimentano il bacino dell'Indo, diminuiranno ulteriormente nei prossimi anni, stimando che la portata dell’Indo diminuirà dell’8% entro il 2050. Questa riduzione causerà un aumento temporaneo del flusso d'acqua, ma impoverirà, nel lungo periodo, la ricarica delle falde acquifere, riducendo così le risorse idriche disponibili [7]. Allo stesso tempo, si presume che il ritmo e l’intensità delle piogge durante i monsoni diventeranno sempre più irregolari, incrementando i rischi di alluvione.

Un tale scenario farebbe presupporre un inasprimento delle tensioni politiche fra le due super potenze rispetto alla distribuzione dell'acqua e alla gestione dei flussi.

Negli anni l’acqua è già stata strumento di tensione tra i due Paesi. Effettivamente, il Pakistan, in risposta ai vari progetti di costruzione di dighe indiane, che avrebbero modificato il flusso d’acqua verso il Paese, ha più volte rivolto diversi appelli alle istituzioni internazionali sulle presunte violazioni indiane del Trattato.

La prima occasione, fu quando il Pakistan avanzò alla Banca Mondiale la richiesta di nominare un esperto neutrale, dopo aver espresso preoccupazioni per la realizzazione della diga indiana di Baglihar sul fiume Jhelum. Secondo il Pakistan, questi progetti idroelettrici avrebbero fornito agli ingegneri indiani un maggiore controllo sul flusso del fiume rispetto a quanto consentito dal Trattato. L'esperto neutrale, però, ha approvato i piani di costruzione dell'India nel 2007 [8].

In un secondo momento, il Pakistan è tornato a rivolgersi alla Banca Mondiale invocando la convocazione di una corte arbitrale per pronunciarsi sulla realizzazione della diga indiana di Kishanganga su un affluente del fiume Jhelum. La sentenza della Corte Permanente di Arbitrato dell’Aja del 2013 ha accordato all’India il diritto di terminare il progetto, pur senza schierarsi apertamente a favore di uno dei due Paesi. [9].

Il clima di tensione tra India e Pakistan è esploso nuovamente nel 2016, in seguito a un attacco terroristico avvenuto nella città di Uri, nella regione del Kashmir, a causa del quale l’India ha annullato la propria partecipazione alla riunione della Commissione permanente dell’Indo (PIC) [10] e nel contempo, ha convocato un incontro per modificare o annullare il Trattato sulle acque dell’Indo.

Allo stesso modo, l’India ha accelerato lo sviluppo di tre progetti idrici che includono la costruzione della diga Shahpur-Kandi e dell’UJH in Jammu e Kashmir e un secondo collegamento Sutlej-Beas nel Punjab [11].


Nel 2016, il Pakistan ha consultato la Banca Mondiale per la nomina di un altro tribunale arbitrale affinché si pronunciasse sulla costruzione della diga indiana di Ratle sul fiume Chenab, mentre l'India, invece, spingeva per la designazione di un esperto neutrale; nonostante le divergenze, la Banca Mondiale ha deciso, con grande disappunto dei funzionari indiani, di avviare contemporaneamente entrambi i processi nel 2017, nominando gli esperti chiave nell’ottobre 2022. I dirigenti indiani hanno minacciato di ignorare qualsiasi parere del tribunale arbitrale.

La vulnerabilità del rapporto tra India e Pakistan in tema idrico è ulteriormente emersa nel 2019, a seguito di un attacco terroristico, rivendicato dalla milizia pakistana Jaish-e Mohammad, a Pulwama (territorio del Kashmir amministrato dall'India), in cui hanno perso la vita 46 membri della polizia paramilitare indiana. La risposta politica indiana è giunta attraverso le parole dell’allora Ministro delle risorse idriche, Nitin Gadkari, il quale ha minacciato di interrompere il flusso d’acqua verso il Pakistan, denunciando il Trattato sulle acque dell'Indo [12].

La formulazione del Trattato non prevede, però, che uno dei due paesi receda unilateralmente dal patto.

L'articolo XII del Trattato dispone infatti che: "Le disposizioni del presente Trattato, come modificate ai sensi delle disposizioni del paragrafo (3), continueranno ad essere in vigore fino alla loro cessazione per effetto di un trattato debitamente ratificato e concluso a tal fine tra i due governi”.

Il 25 gennaio 2023, l'India ha avanzato, per la prima volta nella storia del patto, la richiesta di modificare il Trattato attraverso la suddetta Commissione Permanente dell’Indo. L’India avrebbe espressamente chiesto al Pakistan di rinegoziare i termini della risoluzione delle controversie. Tale istanza potrebbe essere strumentalizzata dall’India quale merce di scambio nel tentativo di perpetrare la pressione sul Pakistan su altre questioni politiche.

La nuova crisi della cooperazione idrica bilaterale

Il recente riaccendersi delle tensioni tra i due Paesi ha spinto l’India a sospendere il Trattato sull’Indo, come ritorsione all’attacco terroristico, avvenuto il 25 aprile 2025, a Pahalgam nel distretto di Anantnag del Kashmir, amministrato dall'India, che ha ucciso 26 persone. Come accadde nel 2016, le misure di ritorsione indiane sono state drastiche e immediate.

La sospensione del Trattato sull’Indo ha rappresentato un’ulteriore volontà d’interruzione di cooperazione bilaterale, a danno della gestione condivisa delle risorse idriche, con il chiaro intento indiano di generare contraccolpi nella disponibilità idrica pakistana.

La sospensione dell’Accordo prevede che l’India sia capace di trattenere miliardi di metri cubi d’acqua, provenienti dai fiumi occidentali durante le fasi di alto flusso, che, secondo il Trattato, dovrebbero essere rilasciati verso il Pakistan. Ad oggi, le infrastrutture indiane non possono accumulare queste grandi quantità d’acqua a fronte dell’assenza di massicce strutture di stoccaggio e di canali necessari per deviare tali volumi.

L’India, infatti, è dotata di centrali idroelettriche ad acqua fluente, impianti che producono energia elettrica sfruttando il flusso naturale del fiume, senza la necessità di grandi dighe o bacini di accumulo in cui trattenere considerevoli volumi d'acqua.

Il vero rischio dell’interruzione del Trattato è restituire arbitrarietà ai due Paesi nella modifica di infrastrutture esistenti o nella costruzione di nuovi impianti che trattengano o modifichino i flussi d’acqua, pregiudicando il reciproco accesso e la disponibilità d’acqua.

Una distribuzione asimmetrica delle risorse può potenzialmente e conseguentemente causare danni collaterali all’ambiente, situazioni di stress idrico o inondazioni rapide a valle.

Inoltre, con la sospensione del Trattato si estingue anche l’obbligo del mutuo scambio d’informazioni riguardo l’utilizzo dell’acqua e dei progetti infrastrutturali, diminuendo così la trasparenza dell’operato di ciascun Paese, generando sfiducia reciproca e un’alta probabilità di scoppio del conflitto.

Il Pakistan è un Paese fortemente dipendente dall’acqua e lo scenario di una diminuzione drastica dell’accesso alle acque dell’Indo, vitali per la sua sopravvivenza e sviluppo, potrebbe potenzialmente fomentare disordini sociali. Lo stesso Pakistan ha dichiarato che qualsiasi tentativo di interrompere o deviare il flusso d’acqua, appartenente allo Stato, sarà considerato come un atto di guerra da parte dell’India.

L’escalation bellica si è poi verificata il 6 maggio scorso con attacchi missilistici incrociati tra i due Paesi.

Dopo qualche giorno, il 10 maggio, tramite la mediazione diretta degli Stati Uniti, India e Pakistan hanno annunciato un cessate il fuoco con l’immediata sospensione degli attacchi militari, i più importanti scontri militari tra i due Paesi dotati di armi nucleari.

Questo ultimo episodio è la dimostrazione della crescente strumentalizzazione dell’acqua quale risorsa al servizio della geopolitica dominata dalla legge del più forte.

La militarizzazione e securitizzazione dell’acqua evidenzia la necessità impellente di sviluppare una cultura e una prassi politico-diplomatica fondate sulla cooperazione win-win nell’ambito della gestione delle risorse idriche transfrontaliere, soprattutto nello scenario geopolitico attuale di un mondo lacerato da trentuno conflitti in corso.

Su tale aspetto, AB AQUA continua a sensibilizzare l’opinione pubblica nazionale e internazionale sul ruolo dell’acqua come strumento di cooperazione, sviluppo sostenibile e pace. In quanto simbolo di unità, diplomazia e impegno collettivo, l’acqua rappresenta per noi un punto di partenza fondamentale per generare un cambiamento positivo e duraturo.

L’ombra cinese nell’idrostrategia indo-pakistana

In questa fase di incertezza nella gestione idrica indopakistana, è importante tenere in considerazione gli intrecci geopolitici tra Pakistan e Cina che potrebbero svolgere un ruolo importante nelle prossime decisioni in merito al Trattato sulle acque dell’Indo.

La scelta unilaterale dell'India di sospendere l’Accordo potrebbe costringere il Pakistan ad accelerare gli sforzi per costruire dighe nell’area amministrata del Kashmir, grazie alla cooperazione cinese.

Il Pakistan e la Cina stanno già collaborando su grandi progetti infrastrutturali, tra cui le dighe di Diamer-Bhasha, Dasu e Mohmand, pertanto, le recenti azioni dell'India potrebbero fungere da acceleratore per terminare la realizzazione di questi impianti idrici. La Cina, attraverso il suo piano di Corridoio economico Cina-Pakistan, a partire dal 2015, ha investito miliardi di dollari in progetti infrastrutturali, anche nel settore dell'energia idroelettrica del Pakistan.

Nel 2024, la China Energy Engineering Corporation (CEEC) ha annunciato un ampio programma di investimenti in Pakistan, incentrato sull'energia idraulica e rinnovabile e su progetti di linee di trasmissione. La Cina si è impegnata nel piano di costruzione delle centrali idroelettriche di Azad Patan da 1,5 miliardi di dollari e quella di Sikhi Canari da 1,9 miliardi di dollari.

Proprio lo scorso aprile, la Cina ha espresso un grande interesse per partecipare agli investimenti necessari alla realizzazione di un impianto di desalinizzazione nel porto pakistano di Qasim, al fine di convertire l’acqua salata dell’Oceano in acqua potabile da destinare al settore industriale e domestico.

L’obiettivo dell’iniziativa è diversificare le fonti idriche pakistane per ridurre il più possibile gli effetti di scenari di grande stress idrico.

A lungo termine, l'India, pertanto, dovrà tenere in considerazione, nel suo approccio idrostrategico verso il Pakistan, l'emergente asse sino-pakistano nel settore idrico, che rischia di alterare gli equilibri regionali e di ridurre i margini di pressione strategica di Nuova Delhi sul vicino Pakistan. Nel migliore dei casi, l'India potrebbe cercare di utilizzare questa nuova dinamica per rinegoziare il trattato con il Pakistan, ma qualsiasi iniziativa unilaterale rischierebbe di rafforzare la cooperazione tra Islamabad e Pechino, compromettendo ulteriormente lo spirito di cooperazione che il Trattato delle acque dell’Indo aveva storicamente rappresentato.

Conclusioni

L’analisi della gestione idrica tra India e Pakistan mette in luce l’esigenza di una modernizzazione e di un adeguamento del Trattato sulle Acque dell’Indo alle circostanze climatiche e alle politiche ambientali. L’accordo del 1960, infatti, non considerava gli effetti del cambiamento climatico sulla disponibilità idrica complessiva e sulla sua distribuzione nella regione. Al contrario, sarebbe auspicabile, nel contesto attuale, che l’accordo preveda provvedimenti preventivi ai disastri naturali, sempre più frequenti e intensi in questo territorio.

Il Trattato, inoltre, non sancisce un limite sulla quantità di dighe che l'India potrebbe costruire sul bacino dell'Indo, manca di indicazioni, per giunta, sull’ammontare della ripartizione d'acqua tra i due Stati, concedendo così un espediente per un potenziale sovrasfruttamento indiano.

L’estesa diffusione di dighe e impianti idroelettrici indiani rappresenta, infatti, non solamente una vantaggiosa fonte di energia, ma anche una minaccia permanente per i fragili equilibri geopolitici regionali.

Questi suggerimenti d’intervento per una migliore efficacia del Trattato rimangono per ora in sospeso.

La vera minaccia, infatti, risiede nell'incertezza del futuro e nei pericoli che i dibattiti sulla sospensione dei flussi d'acqua potrebbero causare nei prossimi mesi e anni.

Le carenze normative del Trattato rilanciano, quindi, la necessità di discutere e approvare leggi internazionali sulla governance di fiumi e laghi transfrontalieri, anche alla luce delle tensioni politico-sociali tra i due Stati che indeboliscono l’efficacia e l’operato dell’accordo stesso mettendo a rischio anche le relazioni di cooperazione.

Come ripercorso in questo report, le antiche rivalità tra i due Paesi, dovute soprattutto all’appartenenza del territorio del Kashmir, sono mutate nel tempo in una contesa per le risorse idriche.

In Pakistan la questione idrica suscita una forte e costante partecipazione che alimenta la propaganda anti-indiana. In India, invece, la presenza di importanti infrastrutture idriche assume diverse valenze strategiche: garantisce acqua corrente alle famiglie indiane, assicura l’irrigazione dei campi coltivati, fornisce energia e contribuisce all’ammodernamento e allo sviluppo tecnologico della nazione.

Jawaharlal Nehru, leader dell’indipendenza indiana, presentò, tre anni dopo la firma del Trattato (1963), la diga di Bhakhra sul fiume Satluj, il primo grande impianto idroelettrico indiano, come “un tempio dell’India moderna” [13].

Oggi più che mai, l’India ha compreso la necessità e il “ritorno strategico” della gestione politico-economica dell’acqua. Tale consapevolezza risponde a varie esigenze strategiche indiane: garantisce uno sviluppo interno e affronta la difficoltà nazionale di assicurare un accesso equo e sufficiente delle risorse idriche alla sua ampia popolazione, ma, allo stesso tempo, fortifica l’immagine indiana a livello internazionale quale nazione matura e all’avanguardia, in un momento storico in cui l’India cerca un proprio ruolo geopolitico sempre più determinante nelle dinamiche di respiro internazionale.

In occasione della Conferenza sull’acqua delle Nazioni Unite del 2023, il Ministro Gajendra Singh Shekhawat ha annunciato che l’India prevede di investire più di 240 miliardi di dollari [14] nel settore idrico. L’India sta anche lavorando, in collaborazione con privati, start-up e associazioni di utenti dell’acqua, all’attuazione del più grande programma di riabilitazione di dighe al mondo, per costruire infrastrutture di stoccaggio dell’acqua, fondamentali per la resilienza climatica.

La prospettiva di crescita dell’India nel settore idrico, unita a un contesto di crisi del multilateralismo e di assenza di una legislazione internazionale per la gestione transfrontaliera delle risorse idriche, spinge al rafforzamento degli strumenti di cooperazione bilaterale per raggiungere un nuovo modello di gestione del bacino, che può essere riassunto nel concetto di “Industan” [15].

Tale neologismo incita a considerare e a governare il bacino dell’Indo come una risorsa unica, integrata e condivisa, per scongiurare fratture idro-diplomatiche che potrebbero condurre a un più ampio deterioramento delle relazioni bilaterali, mettendo a rischio il faticoso cessate il fuoco conquistato in Kashmir.

    

[1] Food and Agriculture Organization of the United Nations, “AQUASTAT, FAO’s Global Information System on Water and Agriculture”, 2011: https://www.fao.org/aquastat/en/countries-and-basins/transboundary-river-basins/indus

[2] Climate Diplomacy, “Water conflict and cooperation between India and Pakistan”: https://climate-diplomacy.org/case-studies/water-conflict-and-cooperation-between-india-and-pakistan

[3] Aljazeera, “India reiterates plan to stop sharing water with Pakistan”, 2019: https://www.aljazeera.com/news/2019/2/21/india-reiterates-plan-to-stop-sharing-water-with-pakistan

[4] United Nations, Resolution A/RES/64/292, “The Human Right to Water and Sanitation”, 2010: https://www.un.org/waterforlifedecade/pdf/human_right_to_water_and_sanitation_media_brief.pdf.

[5] Uzair Sattar, “Pakistan’s Political Economy perpetuates its Water Crisis”, STIMSON, 2023: https://www.stimson.org/2023/pakistans-political-economy-perpetuates-its-water-crisis/

[6] U.S. Institute of Peace, “Understanding Pakistan’s Water-Security Nexus”, 2013: https://www.usip.org/sites/default/files/PW88_Understanding-Pakistan’s-Water-Security-Nexus.

[7] Dhanasree Jayaram, “Why India and Pakistan need to review the Indus Waters Treaty”, Climate Diplomacy, 2016: https://climate-diplomacy.org/magazine/cooperation/why-india-and-pakistan-need-review-indus-waters-treaty

[8] Daniel Haines, “India and Pakistan are playing a dangerous game in the Indus Basin”, United States Institute of Peace, 2023: https://www.usip.org/publications/2023/02/india-and-pakistan-are-playing-dangerous-game-indus-basin

[9] idem

[10] Commissione bilaterale composta da funzionari dell'India e del Pakistan, istituita dal Trattato.

[11] Debayan Roy, “Can India unilaterally revoke Indus Water Treaty with Pakistan”, News18, 2022: https://www.news18.com/news/india/can-india-revoke-indus-water-treaty-unilaterally-news18-explainer-2045325.html

[12] Aljazeera, “India reiterates plan to stop sharing water with Pakistan”, 2019: https://www.aljazeera.com/news/2019/2/21/india-reiterates-plan-to-stop-sharing-water-with-pakistan

[13] Adriano Marzi, “L’acqua contesa tra Pakistan e India”, Nuova ecologia, 2019: https://www.lanuovaecologia.it/acqua-contesa-tra-pakistan-e-india/

[14] Smart Water Magazine, “India to invest over $240 billion in water sector”, 2023: https://smartwatermagazine.com/news/smart-water-magazine/india-invest-over-240-billion-water-sector

[15] Institute for Water, Environment and Health, dell’Università delle Nazioni Unite (UNU-INWEH) ha pubblicato, su Springer, il report “Imagining Industan”.

Isabella De Baptistis - 25 maggio 2025

Figura 1 – La fonte dell'immagine di copertina è la seguente: https://climate-diplomacy.org/case-studies/water-conflict-and-cooperation-between-india-and-pakistan

Figura 10 - Diga idroelettrica di Ratle

Figura 5 - Diga idroelettrica di Bagliha

Figura 7 - Ubicazione del progetto Ujh

Figura 8 - Diga di Shahpur-Kandi

Figura 6 - Costruzione della diga di Kishanganga

Figura 9 - Progetto di collegamento Sutlej-Beas