Quando il Deserto divenne acqua: il Grande Fiume Artificiale in Libia

Pietro Secchi - 2 dicembre 2025

* L’immagine di copertina di questo paper è stata presa dal seguente link: The eighth wonder of the world?

Nascita di un’idea.

La Libia è per lo più un’immensa distesa desertica: il sesto Paese più arido al mondo, caratterizzato da precipitazioni annue inferiori ai 100 mm, elevata evaporazione e quasi totale assenza di corsi d’acqua permanenti. In un ambiente così ostile, gli insediamenti umani e le attività economiche si sono storicamente concentrati lungo la sottile fascia costiera mediterranea, dove le piogge sono relativamente più abbondanti e le rotte marittime assicurano collegamenti essenziali con l’esterno.

Fino agli anni Sessanta, le risorse idriche del Paese dipendevano principalmente da sorgenti costiere, pozzi tradizionali a portata irregolare e falde temporanee, mentre le principali città - Tripoli, Bengasi e Misurata - si rifornivano da bacini in esaurimento e da costosi impianti di desalinizzazione poco affidabili, collocando la Libia sull’orlo di una siccità strutturale.

In questo scenario di estrema vulnerabilità, la scoperta di vasti serbatoi sotterranei nel deserto assunse un valore quasi epocale, ridefinendo radicalmente il rapporto tra il territorio e le risorse idriche del Paese.

Negli anni Trenta, geologi americani in cerca di acqua in Arabia Saudita scoprirono invece petrolio. In Libia, nei primi anni Cinquanta, le campagne di prospezione portarono alla luce una duplice ricchezza: accanto ai giacimenti petroliferi emersero imponenti riserve di acqua dolce fossilizzata, intrappolata per decine di millenni nell’arenaria del Sahara. Queste ricerche permisero l’identificazione dell’Arenaria Nubiana (Nubian Sandstone Aquifer System, NAS) e di altri bacini connessi, estesi sotto gran parte del Nord Africa. Le acque, di origine pluviale antichissima, non sono più rinnovate dal ciclo idrologico attuale: la loro natura “non rinnovabile” ne conferisce un valore strategico e scientifico straordinario, trasformandole in una risorsa continentale di eccezionale importanza. Le stime più accreditate parlano di circa 150.000 km³ d’acqua distribuiti su oltre due milioni di km², con falde che raggiungono profondità fino a quattro chilometri - un vero e proprio oceano silenzioso nel cuore del deserto.

Tra gli anni Sessanta e Settanta, la Libia passò rapidamente da un’economia estrattiva rudimentale a uno Stato fondato sulle rendite petrolifere. Tuttavia, la modernizzazione accelerata non risolse la crisi idrica: gli insediamenti costieri continuarono a dipendere da risorse locali e impianti di desalinizzazione scarsamente efficienti.

Con il colpo di Stato del 1969, Muʿammar Gheddafi elevò l’autosufficienza nazionale a principio strategico. Le grandi opere infrastrutturali divennero strumenti di legittimazione politica e simboli della potenza rivoluzionaria: l’“oro blu” nascosto sotto il Sahara assunse così, nella visione della nuova leadership libica, il ruolo centrale in un progetto di indipendenza materiale e orgoglio ideologico. Gli studi di fattibilità dimostrarono che l’estrazione e il trasporto dell’acqua fossile erano economicamente più convenienti rispetto alla desalinizzazione, anche considerando i costi energetici. La dipendenza tecnologica esterna implicita nella desalinizzazione, inoltre, contrastava con i principi di autarchia della Jamahiriya, la forma di Stato e di governo instaurata in Libia dal 1977 al 2011, che può essere tradotta in genere come “Stato delle masse” o “Repubblica delle masse”. Il progetto del Great Man-Made River (GMR) nacque quindi con una duplice funzione: da un lato, garantire la sicurezza idrica della popolazione; dall’altro, rappresentare un simbolo di emancipazione dall’Occidente.

Inizialmente, l’obiettivo non era solo fornire acqua alle città costiere, ma sostenere una strategia più ampia di colonizzazione interna e sviluppo del deserto. Secondo i piani originari, le regioni meridionali del Fezzan - Murzuq, Sarir e Kufra - dovevano diventare poli agricoli e residenziali, riequilibrando la distribuzione demografica e rafforzando l’autosufficienza alimentare. Tuttavia, i progetti pilota degli anni ’70 si scontrarono con ostacoli logistici, climatici e sociali. La strategia si evolse così dal paradigma “portare la gente all’acqua” a quello “portare l’acqua alla gente”, concentrandosi sulla modernizzazione idrica e urbana della fascia costiera.

Il progetto del Great Man-Made River (GMR) si consolidò quindi come una rete nazionale di trasferimento idrico, divenendo uno strumento di unificazione territoriale e di costruzione dello Stato attraverso la gestione dell’acqua.

Il cantiere del deserto (1983-2010)

Nel 1983 il governo libico istituì la Great Man-Made River Authority (GMRA), l’ente incaricato di progettare, realizzare e gestire un’opera senza precedenti: un sistema idrico nazionale capace di trasportare acqua fossile dal cuore del Sahara alle città della costa mediterranea. L’anno seguente, Muʿammar Gheddafi pose simbolicamente la prima pietra a Sarir, inaugurando ufficialmente un progetto che si presentava come la più grande impresa idraulica mai intrapresa in Africa e uno dei più ambiziosi esperimenti di ingegneria civile del XX secolo.

Sottoposta al diretto controllo del Comitato Generale del Popolo, la GMRA operava come un vero ministero autonomo, dotato di poteri eccezionali di pianificazione, esproprio e contrattazione con imprese straniere. La sua struttura ibrida - gerarchica ma tecnicamente avanzata - consentì di coordinare cantieri e logistica in un territorio immenso, in larga parte privo di infrastrutture preesistenti.

Il progetto del Grande Fiume Artificiale si sviluppava - e si sviluppa tuttora - in diverse fasi costruttive, concepite come tappe di un disegno unitario ma progressivo: trasportare gradualmente l’acqua dalle falde meridionali verso la Tripolitania e la Cirenaica, creando un sistema di dorsali parallele interconnesse.

Fase I (1984-1991): la nascita dell’infrastruttura. La prima fase, inaugurata ufficialmente nel 1984, riguardò lo sviluppo dei campi pozzi di Sarir e Tazerbo, nel Sahara orientale, dove furono perforati centinaia di pozzi profondi fino a 500 metri. L’acqua veniva convogliata attraverso oltre 1.600 chilometri di condotte, con una capacità di trasporto giornaliera superiore ai 2 milioni di metri cubi. Il tracciato principale correva verso la costa orientale, passando per Ajdabiya e raggiungendo Sirte e Bengasi. Attorno a questo asse nacquero nuovi poli industriali - in particolare la fabbrica di tubazioni di Brega, interamente progettata per produrre in loco i giganteschi segmenti di cemento armato - e una rete logistica di strade, bacini e stazioni di pompaggio.

Fase II (1989–1999): l’espansione verso la capitale. Il successo della prima fase rese il progetto un pilastro della politica di sviluppo nazionale. La Fase II - avviata già nel 1989, in parziale sovrapposizione con la precedente - aveva come obiettivo l’estensione della rete verso ovest, per alimentare Tripoli e Misurata, i centri urbani più popolosi del Paese. Fu costruita una nuova dorsale di oltre 2.000 chilometri, collegando i bacini di Sarir, Tazerbo, Kufra e Murzuq al campo pozzi di Jabal al-Hasawna, situato in una delle aree più remote del deserto. Qui sorse il cuore pulsante dell’intero sistema: 484 pozzi distribuiti su 19.000 km², in grado di erogare acqua a una portata di diversi milioni di metri cubi al giorno.

Fase III (2000–2009): consolidamento e bilanciamento del sistema. La Fase III fu dedicata principalmente al rafforzamento e all’armonizzazione dell’infrastruttura, con l’obiettivo di garantire una distribuzione più equilibrata delle risorse idriche tra est e ovest del Paese. In questa fase furono realizzati interventi significativi: l’ampliamento della Fase I, con l’aggiunta di circa 700 km di nuove condotte e l’installazione di ulteriori stazioni di pompaggio, che portarono la capacità complessiva del sistema fino a 3,68 milioni di metri cubi al giorno, e la costruzione del ramo settentrionale verso Tobruk, lungo circa 500 km e alimentato dai pozzi dell’oasi di Jaghbub, pensato per rafforzare la sicurezza idrica della Cirenaica orientale e garantire continuità di fornitura alle comunità e alle infrastrutture della regione. Questa fase non solo consolidò la rete esistente, ma rappresentò un passo strategico per bilanciare i flussi idrici nazionali, riducendo il rischio di squilibri regionali e rafforzando la resilienza del sistema in un contesto di crescente domanda urbana e industriale.

Fasi IV e V (2010-2011): le Fasi IV e V, progettate tra il 2010 e il periodo immediatamente successivo, avrebbero dovuto completare la rete nazionale, estendendo i collegamenti verso Ghadames, Zuwara e la Tripolitania occidentale. Tuttavia, la rivoluzione del 2011 e i conflitti che ne seguirono ne bloccarono la realizzazione. Le ultime sezioni lasciate incomplete avrebbero dovuto chiudere l’anello infrastrutturale, trasformando il Sahara in un serbatoio permanente di vita. L’interruzione dei lavori segnò invece la fine dell’età dell’ottimismo ingegneristico e l’inizio di una lunga stagione di incertezza.

Il periodo post-Gheddafi

Il Grande Fiume Artificiale (GMR) continua a rappresentare la principale fonte di approvvigionamento idrico della Libia, fornendo ancora oggi oltre il 90% dell’acqua dolce consumata nel paese, con un trasferimento medio di circa 6,5 milioni di metri cubi al giorno dalle falde fossili del deserto verso le principali città costiere. La rete idrica, articolata in oltre 4.000 chilometri di condotte principali, circa 1.300 pozzi, numerose stazioni di pompaggio e bacini di accumulo, costituisce tuttora la spina dorsale del sistema idrico nazionale.

Tuttavia, con la caduta del regime di Muʿammar Gheddafi nel 2011, il GMR ha perso la direzione politica e la gestione centralizzata che avevano garantito il suo sviluppo e funzionamento per quasi trent’anni. Inizialmente concepite come simbolo di sovranità nazionale e autosufficienza idrica, le infrastrutture hanno gradualmente smesso di rappresentare un pilastro dello sviluppo, diventando beni strategici vulnerabili, immersi in un contesto di governance frammentata e conflitti diffusi. La guerra civile e il collasso delle istituzioni statali hanno ulteriormente accentuato le fragilità del sistema.

Dal punto di vista infrastrutturale, circa un terzo del progetto rimane incompleto, con diramazioni cruciali verso sud e ovest mai rese operative. La manutenzione degli impianti risulta estremamente precaria e i campi pozzi di Sarir, Tazerbo e Jabal al-Hasawna - nodi vitali della rete - sono stati frequentemente colpiti da sabotaggi, furti e attacchi mirati. Analogamente, la fabbrica di tubazioni di Brega ha subito danni significativi a seguito di un bombardamento aereo della NATO nel maggio 2011.

Sul piano operativo, la rete centralizzata si è progressivamente frammentata in segmenti controllati da milizie locali, municipalità o consorzi informali, compromettendo la continuità delle forniture idriche. Dal 2012 in poi, il sistema ha registrato un deterioramento progressivo: centinaia di pozzi sono rimasti fuori servizio nelle reti di Al-Jafara, Al-Hasawna e Al-Sirir-Tazarbo, mentre attacchi e blocchi ripetuti alle stazioni di pompaggio - come quelli nell’area di Hasawna tra il 2017 e il 2020 - hanno interrotto più volte la fornitura verso Tripoli e altre città, lasciando milioni di persone senza acqua per giorni. Questi eventi evidenziano come il controllo del GMR sia divenuto un fattore strategico di potere locale: chi gestisce le valvole del sistema esercita un’influenza diretta sulla sopravvivenza urbana e agricola delle regioni costiere.

Per attenuare gli effetti della crisi, agenzie internazionali quali UNICEF, UNDP, FAO e l’Unione Europea hanno avviato interventi di emergenza volti a sostenere la manutenzione, migliorare la gestione tecnica e ridurre le conseguenze umanitarie delle interruzioni. Nonostante ciò, il GMR resta operativo solo parzialmente: il degrado delle infrastrutture, la manutenzione irregolare e le carenze di sicurezza continuano a comprometterne la stabilità, in particolare nelle regioni del Fezzan e della Tripolitania centrale.

Nato come simbolo di emancipazione idrica e modernizzazione nazionale, il GMR si trova oggi al centro di un paradosso: una rete vitale ma fragile, fondata su risorse idriche finite e vulnerabile sia al degrado infrastrutturale sia alla frammentazione del potere politico.

Il futuro del Grande Fiume Artificiale

Il Grande Fiume Artificiale (GMR) si trova oggi a un bivio storico. Non rappresenta più soltanto un’infrastruttura idrica, ma costituisce un indicatore della capacità dello Stato libico di mantenersi come entità coesa, in grado di pianificare, gestire e cooperare in un contesto di frammentazione istituzionale. Il futuro del GMR si colloca all’intersezione tra sostenibilità idrogeologica, governance nazionale e innovazione tecnologica, delineando un quadro complesso e in continua trasformazione.

La prima criticità riguarda l’ambiente e la disponibilità delle risorse. Il sistema si basa su falde fossili, formatesi in epoche climatiche remote e dunque intrinsecamente non rinnovabili. Il ritmo di estrazione, superiore alla capacità naturale di ricarica, rischia, secondo numerose stime, di compromettere entro pochi decenni la capacità dei principali bacini del Fezzan e del Kufra, aggravando processi di salinizzazione e intrusione marina nelle falde costiere. Questa prospettiva rende la gestione delle risorse idriche una questione esistenziale per le comunità urbane e agricole, imponendo l’adozione urgente di politiche integrate di gestione sostenibile, bilanciamento dei prelievi e diversificazione delle fonti.

Sul piano tecnologico, il futuro del GMR richiede un ripensamento complessivo del modello di approvvigionamento idrico nazionale. Dopo decenni di dipendenza quasi esclusiva dalle acque sotterranee non rinnovabili, la Libia è oggi chiamata a diversificare le proprie fonti, includendo la desalinizzazione come componente strutturale della strategia idrica. Sebbene in passato questa opzione fosse limitata da vincoli economici e infrastrutturali, i progressi recenti nelle tecnologie di osmosi inversa e nell’efficienza energetica rendono oggi più accessibile l’installazione di impianti costieri moderni. Diversi osservatori e agenzie internazionali sottolineano come un’integrazione graduale tra il GMR e una rete di impianti di desalinizzazione lungo la costa (Tripoli, Misurata, Bengasi, Tobruk) potrebbe ridurre la dipendenza dai bacini fossili e aumentare la resilienza del sistema idrico nazionale.

Il piano istituzionale rappresenta un ulteriore elemento cruciale. Il GMR costituisce un banco di prova della capacità dello Stato libico di garantire continuità dei servizi essenziali e sicurezza infrastrutturale. La frammentazione politica e la debolezza delle strutture centrali hanno dimostrato la vulnerabilità di un sistema di questa scala in assenza di una governance stabile e competente. La divisione attuale dei ruoli tra General Water Authority (GWA), Ministry of Water Resources (MWR) e Great Man-Made River Authority (GMRA) riduce l’efficacia operativa e strategica del sistema. Per far fronte a tali criticità, diversi programmi internazionali mirano a rafforzare le funzioni di coordinamento di queste agenzie, chiarire la suddivisione di responsabilità e compiti, potenziare autonomia finanziaria, competenze tecniche e capacità di cooperazione con le municipalità locali. Un simile rafforzamento istituzionale costituisce un passaggio essenziale per garantire una gestione idrica più trasparente, coordinata e protetta da interferenze politiche e militari.

Infine, la dimensione regionale riveste un ruolo strategico. Il GMR attinge da bacini condivisi con Egitto, Sudan e Ciad; la loro gestione richiede un approccio multilaterale fondato sulla cooperazione trans-frontaliera. L’attuale sfruttamento unilaterale da parte libica, pur legittimo sul piano del diritto territoriale, potrebbe generare tensioni future. Un accordo regionale per la gestione sostenibile delle acque fossili garantirebbe maggiore stabilità e coesione, trasformando una potenziale fonte di conflitto in un’opportunità di diplomazia idrica.

In questa prospettiva, il GMR non è soltanto un insieme di condotte e pozzi, ma un nodo strategico, politico e simbolico: la sua sopravvivenza dipenderà dall’equilibrio tra innovazione tecnologica, sostenibilità delle risorse e capacità dello Stato libico di ricostruire unità, governance e visione a lungo termine.

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